Quali sono delle poesie sul tempo, utili per riflettere? In questo articolo ho raccolto 6 poesie sul tempo, leggile con attenzione.
poesie sul tempo
6 Poesie sul Tempo
1- Prenditi Tempo di Pablo Neruda
Prenditi tempo per pensare, perché questa è la vera forza dell’uomo.
Prenditi tempo per leggere, perché questa è la vera base della saggezza.
Prenditi tempo per pregare, perché questo è il maggior potere sulla terra.
Prenditi tempo per ridere, perché il riso è la musica dell’anima.
Prenditi tempo per donare, perché il giorno è troppo corto per essere egoisti.
Prenditi tempo per amare ed essere amato, è il previlegio dato da Dio.
Prenditi tempo per essere amabile, questo è il cammino della felicità.
Prenditi tempo per vivere!
2- Sul tempo di Kahlil Gibran
poesie sul tempo- Kahlil Gibran
E un astronomo domandò: Maestro, e il Tempo? E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo che non ha misura né può essere misurato.Vorreste disegnare la vostra condotta e persino dirigere il vostro spirito secondo ore e stagioni.Vorreste ridurre il tempo a un ruscello sulla cui riva sedere per osservarlo nel suo fluire.Ma l’eterno in voi riconosce l’eternità della vita, e sa quanto l’oggi non sia che il ricordo di ieri e che il domani sarà il sogno di oggi. Ciò che in voi canta e contempla abita tuttora entro il primo istante che ha cosparso il firmamento di stelle. Chi tra voi non sente che la sua forza d’amare non ha limiti? Eppure, chi non sente chiuso in sé quello stesso amore, che pur illimitato non si muove da un pensiero d’amore all’altro, né da gesta a gesta d’amore? Il tempo non è dunque come l’amore, inscindibile e immobile? Ma se nel vostro pensiero dovete poi misurare il tempo con le stagioni, allora che contenga ogni stagione tutte le altre e che il presente stringa a sé il passato nel ricordo e il futuro nella speranza.“
Non ti auguro un dono qualsiasi, ti auguro soltanto quello che i più non hanno. Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre, ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti: tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare. Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso, per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita
Poesie sul Tempo
4- “E l’Amore guardò il tempo e rise”
E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava.
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Poesie sul Tempo
5- “È una curiosa creatura il passato” di Emily Dickinson
poesia sul tempo
È una curiosa creatura il passato.
Ed a guardarlo in viso Si può approdare all’estasi. O alla disperazione. Se qualcuno l’incontra disarmato, Presto, gli grido, fuggi! Quelle sue munizioni arrugginite, possono ancora uccidere!
6- Carpe Diemdi Orazio
Carpe Diem è un invito a cogliere l’attimo e vivere il momento presente, per approfondire leggi:” Cos’è Davvero il Qui e Ora”
Non chiedere, non è concesso saperlo, Leuconoe, il destino che a me e a te hanno dato gli dei; non consultare i calcoli dei Caldei: quant’è meglio accettare ciò che sarà, sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, o per ultimo questo che logora il mare Tirreno contro gli scogli; sii saggia, filtra il vino e tronca nel breve spazio le troppo lunghe speranze; mentre parliamo, sarà già fuggito il tempo invidioso: cogli l’attimo e affidati meno che puoi al domani.
Il mito di Cronos
Anche non essendo una vera e propria poesia…il mito di Cronos racchiude degli insegnamenti importati che condividerò con te, in un altro articolo 🙂
Dall’unione tra Urano, dio del cielo, e Gea, dea della terra, nacquero i Titani ed il più giovane era Crono. Il padre, ossessionato dall’idea che i figli potessero sottrargli il dominio dell’universo, li fece imprigionare, fin quando Crono lo evirò, riuscendo così a liberare tutti i fratelli. Con Crono la terra prosperò felice fino a quando una profezia sconvolse la mente del dio: fu predetto che il suo regno sarebbe finito per mano di uno dei suoi figli. Unitosi con la sorella Rea, generò infatti diversi figli tra cui Poseidone, Ade, Era e Demetra ma terrorizzato, per cercare di cambiare il destino, li divorò tutti alla nascita, tenendoli prigionieri nelle proprie viscere. Quando però Rea stava per dare alla luce l’ultimo figlio, Zeus, decise di ingannare il marito, consegnandogli al suo posto una pietra avvolta in fasce, che subito Crono ingoiò. Zeus fu quindi affidato alle cure della capra Amaltea e poté crescere sano e in forza. Divenuto adulto, decise di vendicarsi del padre, facendogli bere con l’inganno una bevanda che subito lo indusse a vomitare i propri figli. Iniziò così la tremenda guerra, che durò ben 10 anni, tra Crono alleato ai Titani e Zeus e i suoi fratelli, a cui poi si unirono anche i Ciclopi. Non è certa la fine che toccò a Crono, ma sappiamo che i Titani furono tutti incatenati nel Tartaro.
Quale di queste poesie sul tempo ti è piaciuta di più?
Nun se vede…ma ce sta. Quanno che ar monno ancora n c’era gnente…lui, già ce stava. Magara, no così tanto intransiggente come s’è ffatto mo’….ma c’era…e come! Da ndo viene? Eh…questo nu lo so…Ma nu lo sa nisuno! Se sa solo ch’è na cosa tanto, tanto antica.
Ma er tempo che c’era a queli tempi, ormai nun ce sta più….da mo’! Quello è stato un tempo ch’è annato bbene pe allora, e perciò è esistito solo a quer tempo llì. Perché, infatti, è proprio così che funziona: che cioè ogni tempo ce sta ner tempo suo, e bbasta. Sarebbe, che si presempio oggi ciavemo un tempo fatte conto che ce lo vedemo a passacce sott’ar naso, quello de na vòrta lo potemo solo …vedé su li racconti che quarchiduno s’è voluto pìà lo svizzio de ariccontàccelo a voce o pe scritto.
E così, ècchete ch’er tempo de na vòrta rivive anche ner tempo ndo vivemo noantri, mó. Perciò che a scrive…a riccontà…è importante: perché fa er miracolo de fà vive er tempo, che sinnò…sarebbe morto. Sippure che er tempo (come stamo a ddì) continua a ‘nnà, perché nu’ mmòre proprio mai! Ma, aspè….Nu sto a ddì che quer tempo de allora era finito…Sì…era! finito, ma così…come quanno che finisce la puntata de n teleromanzo, che però nun vòr dì che quer teleromanzo è finito: continua…E quer tempo ha continuato, e piano, piano, ma proprio piano…è arivato infino a mmó.
Er tempo è bravo, è bbono…Ce se pìa pe mano appenna che sortimo fòra, e poi ciaccompagna ‘gni
minuto de ‘gni giorno che stamo qua. Ma è anche fìo de bbòna donna (beh…nu lo so si è fìo de na donna. De certo de quarcuno ha da èsse fìo), perché poi, a un certo punto ce fa no scherzetto…! Ma mmó nu stamo a dì: più ddopo, magari.
Un tempo, fatte conto, quanno ch’er tempo ancora ‘n se sapeva bbene si che fusse (che ce n’è voluto de tempo, eh!), pareva no spirito che scenneva ggiù pe daje fòco ar sole, la matina, e poi pe spégnelo la sera, ner mentre che invece accenneva la luna co le stelle. Pensa si che cacchia de pazzienza: da queli tempi, che ar monno ‘n c’era gnente si no er sole e la luna – che incominciò sta zinfonia de accènne e spegne – ancora lo sta a ffà oggiggiorno, uguale, uguale, che pare che nun sii cammiato gnente, ma la miseria! si è cammiato tutto de tutto, invece!
Eh!….Er tempo è l’unico a conosce pe davero tutta la storia der monno, de questo nostro, e de tutti l’antri monni che stanno in circolo su, pe tutt’ er firmamento. Ha visto li bestioni che c’ereno ‘na vòrta e che mó nun ce sò più…er diluvio univerzale, la tèra a svorticasse tutta cento e cento vòrte, a vommitasse l’anima, e a dasse finarmente n’assestata. Eppuro, tutto se dice, tante vòrte, ma d’er tempo nun è che se ne parla così tanto, sibbè che semo perfino arivati a ddì ch’er tempo è prezzioso. E vedi n po’!
Dunque, er fatto è ch’er tempo, a un certo momento, incominciò a piaceje poco a la ggente. Ner senso che c’era chi diceva che era troppo corto er tempo fra er sole e la luna, o che coreva troppo e che nun se fermava mai un momento, e se sentiveno a spigne, e a spigne…da nun règge proprio ppiù…Cert’artri, invece, a l‘incontrario diceveno che annava troppo lemme, lemme, come presempio chi ciaveva la fregola de cresce e incomincià a conosce la vita; chi stava carcerato e ‘n vedeva l’ora de èsse libberato, o chi stava a faticà e nun aspettava artro che finì la giornata e tornà a casa, ma nun poteva, proprio pe córpa der tempo che nun se smoveva, appunto. Inzomma, come ar solito, chi la voleva còtta e cchi la voleva cruda, come se dice.
Se semo puro dovuti inventacce certe parole che ciann’a che ffà proprio direttamente cor tempo: “vado de prescia”, “chi cià tempo nun aspetti tempo”, “ ’gni cosa a suo tempo”, “er tempo sò sòrdi”, “er tempo quanno che Berta filava”, e tante, tante artre, incruse quelle sur tempo che fa.
A un certo punto de la storia der monno e dell’omo, quarcuno se mise llì a studià sto tempo che passava e ripassava, e che mai na vòrta, dico una che fusse una sortanto, se fusse fermato un momento, che sso, pe, armeno, faje ripià fiato a chi nun ce la faceva proprio più, e che defatti, poraccio, je toccava da rimané, appunto, senza fiato…e così sia.
E allora daje a studià, a sprèmese le meningi e a scervellasse pe trovà er modo de fermallo, d’acchiappallo in quarche modo, sto tempo amico e nemico de tutti quanti ar monno, nisuno escruso. Provòrno a méttelo drento a quarche marchingegno pieno de rotelle, speranno de fallo annà più piano, pe’ llo meno. Ma sgamarono ch’er tempo annava e annava, come sempre, come si nun ce l’avessero messo pe gnente drent’ar marchingegno. Pensòrno che magari questo era troppo granne e che er tempo ciaveva tutt’er modo de giracce a la svérta come je pareva a llui, llì drento.
E allora quarchiduno cebbe l’idea de rimpicciolillo, er marchingegno. Macché: punto e a ccapo. Nun c’era proprio verso de daje manco na limatina, ar tempo che annava annava senza tregua, incaponito e testardo, come e peggio der mulo più testardo ar monno. Ma pareva che solo allora er tempo annasse a un modo così come lo vedeva annà la ggente der tempo, quanno invece er tempo de ogni tempo è sempre annato a quel’istesso rìttimo: da quanno che ar monno ‘n c’era gnente si no er sole co la luna.
Ma è servito solo a daje un rìttimo, un sòno, a fallo annà ordinato…Comunque sia, pe llo meno è servito a capì in quale punto preciso der tempo stavamo, e stàmo, in un certo momento de tutto quant’er tempo che ce gira attorno.
Allora incominciòrno a pìallo pe ‘n antro verso. Che armeno se potesse daje na frenata a quer che lascia in faccia: li segnacci, le rughe, spece su quela de le donne, che ‘n sia mai! E così sempre deppiù, sempre deppiù, fino a arivà – ar tempo de oggiggiorno – a ffà la fortuna de chi se inventa e vénne ‘gni sòrta de impiastri pe la pelle der viso de le donne, e de l’ommini, puro! che mica je fa schifo manco a lloro, de daje na carmata ar tempo che je scava la pelle, prima de scavaje …Ma questo lo dimo più dopo….
Ah…Me stavo a scordà de li cerusichi, che tajeno…insiliconeno…aricuceno, dar naso a ll’occhi, a le recchie, a le zinne, e a le chiappe, perfino! p’annisconne er tempo, che sinnò una (o uno, che è uguale), diventerebbe vecchia più prima ancora der tempo giusto, appunto.
Tutto sommato, ar tempo lo devo ringrazzià, che infatti m’ha dato er tempo de capì tante cose in tempo. J’ho scritto sta poesia:
“Chi cià tempo … nun aspetti tempo”
Er tempo ‘n cià più er tempo
de perdese artro tempo.
Mó è tempo de inizzià le cose in tempo,
de falle bbene e de finille in tempo
e no seconno come gira er tempo!
E aivòja a dì che aritornamo ar tempo
de quanno se marciava tutt’er tempo…!
Sò cose che oramai sò fòri tempo,
ch’ er monno s’è cammiato da quer tempo!
La vita dura tanto poco tempo
che – come quanno sòni e vai a tempo –
nun se dovrebbe annà mai fòri tempo.
E ar giorno d’oggi ancora stamo in tempo
per auguraje ar monno un mijor tempo
vivenno tutti in pace tutt’er tempo,
che è quer che l’omo spera in ogni tempo.
E in caso che avanzasse un po’de tempo
e senza stà a ‘spettà che scade er tempo
bisognerebbe dà ‘na mano in tempo
a chi cià fame e ‘n pò aspettà più tempo.
E quann’er tempo è poco e nun c’è tempo,
bisogna sfruttà bbene er poco tempo
e no stà a piagne che nun ce sta tempo.
E tòcca aricordà che in ogni tempo
è valido quer detto che der tempo
ce dice: “Chi cià tempo
nun deve aspettà tempo”.
E arfine pe noi tutti verà er tempo
de véde un certo treno arivà in tempo.
E quanno, un giorno, ariverà quer tempo
speramo che ciavvèrteno pe tempo
così potremo avecce tutt’er tempo
pe’r bijetto pe’r posto giusto, in tempo. E come ar tempo quanno ch’era er tempo
de vàrzere o mazzurche o de artro tempo,
‘ncomincio a batte er tempo
e m’auguro che ognuno ciàbbi er tempo
pe amori e balli…finacché è bèr tempo.
Senza er tempo, chi sòna, avrebbe solo fatto un gran casino…
Eh, sì…er tempo…è tutto! E ognuno lo vorébbe a un modo che pe llui fusse er mèjo der mèjo. Defatti, si n ce fusse er tempo, mó nun ce staressimo manco noantri de adesso, ché er tempo cià ffatto nasce, cresce…e ciaccompagna. Ndove? Ma è chiaro: indove che er tempo nun esiste più come tempo, così, sempricemente, ma esiste come eternità. E è tutta qua la diferenza nfra er tempo de na vòrta, quello de mó, e quello che deve da vIenì….E che viènga, è sicuro come ch’er 25 dicembre è Natale, o come che er 27 der mese piji la pensione…si er tempo te ce fa arivà, appunto. E si ancora esisterà, un domani, co li chiar de luna de sti tempi!
Che ‘nfatti, a la fine, er tempo che ffa? Te se pìa, anzi…te fa pìà…te fa dà er fojo de via…e ammènne, verebbe da dì. Ma “ammènne” nun è azzeccato: defatti “ammènne” dà er senso de ‘n arivo, de ‘n finale, come si er tempo fusse finito…E ‘nvece no! Er tempo continua a camminà sotto forma de…eternità. Ma intanto, pianopiano…ce consuma…
E er più che se pò ffà, qui, pe la chiusura, è mette li puntini…e ffà un sospiro…
Armando Bettozzi
ER TEMPO
CHI CIÀ TEMPO…NUN ASPETTI TEMPO!
Nun se vede…ma ce sta. Quanno che ar monno ancora n c’era gnente…lui, già ce stava. Magara, no così tanto intransiggente come s’è ffatto mo’….ma c’era…e come! Da ndo viene? Eh…questo nu lo so…Ma nu lo sa nisuno! Se sa solo ch’è na cosa tanto, tanto antica.
Ma er tempo che c’era a queli tempi, ormai nun ce sta più….da mo’! Quello è stato un tempo ch’è annato bbene pe allora, e perciò è esistito solo a quer tempo llì. Perché, infatti, è proprio così che funziona: che cioè ogni tempo ce sta ner tempo suo, e bbasta. Sarebbe, che si presempio oggi ciavemo un tempo fatte conto che ce lo vedemo a passacce sott’ar naso, quello de na vòrta lo potemo solo …vedé su li racconti che quarchiduno s’è voluto pìà lo svizzio de ariccontàccelo a voce o pe scritto.
E così, ècchete ch’er tempo de na vòrta rivive anche ner tempo ndo vivemo noantri, mó. Perciò che a scrive…a riccontà…è importante: perché fa er miracolo de fà vive er tempo, che sinnò…sarebbe morto. Sippure che er tempo (come stamo a ddì) continua a ‘nnà, perché nu’ mmòre proprio mai! Ma, aspè….Nu sto a ddì che quer tempo de allora era finito…Sì…era! finito, ma così…come quanno che finisce la puntata de n teleromanzo, che però nun vòr dì che quer teleromanzo è finito: continua…E quer tempo ha continuato, e piano, piano, ma proprio piano…è arivato infino a mmó.
Er tempo è bravo, è bbono…Ce se pìa pe mano appenna che sortimo fòra, e poi ciaccompagna ‘gni
minuto de ‘gni giorno che stamo qua. Ma è anche fìo de bbòna donna (beh…nu lo so si è fìo de na donna. De certo de quarcuno ha da èsse fìo), perché poi, a un certo punto ce fa no scherzetto…! Ma mmó nu stamo a dì: più ddopo, magari.
Un tempo, fatte conto, quanno ch’er tempo ancora ‘n se sapeva bbene si che fusse (che ce n’è voluto de tempo, eh!), pareva no spirito che scenneva ggiù pe daje fòco ar sole, la matina, e poi pe spégnelo la sera, ner mentre che invece accenneva la luna co le stelle. Pensa si che cacchia de pazzienza: da queli tempi, che ar monno ‘n c’era gnente si no er sole e la luna – che incominciò sta zinfonia de accènne e spegne – ancora lo sta a ffà oggiggiorno, uguale, uguale, che pare che nun sii cammiato gnente, ma la miseria! si è cammiato tutto de tutto, invece!
Eh!….Er tempo è l’unico a conosce pe davero tutta la storia der monno, de questo nostro, e de tutti l’antri monni che stanno in circolo su, pe tutt’ er firmamento. Ha visto li bestioni che c’ereno ‘na vòrta e che mó nun ce sò più…er diluvio univerzale, la tèra a svorticasse tutta cento e cento vòrte, a vommitasse l’anima, e a dasse finarmente n’assestata. Eppuro, tutto se dice, tante vòrte, ma d’er tempo nun è che se ne parla così tanto, sibbè che semo perfino arivati a ddì ch’er tempo è prezzioso. E vedi n po’!
Dunque, er fatto è ch’er tempo, a un certo momento, incominciò a piaceje poco a la ggente. Ner senso che c’era chi diceva che era troppo corto er tempo fra er sole e la luna, o che coreva troppo e che nun se fermava mai un momento, e se sentiveno a spigne, e a spigne…da nun règge proprio ppiù…Cert’artri, invece, a l‘incontrario diceveno che annava troppo lemme, lemme, come presempio chi ciaveva la fregola de cresce e incomincià a conosce la vita; chi stava carcerato e ‘n vedeva l’ora de èsse libberato, o chi stava a faticà e nun aspettava artro che finì la giornata e tornà a casa, ma nun poteva, proprio pe córpa der tempo che nun se smoveva, appunto. Inzomma, come ar solito, chi la voleva còtta e cchi la voleva cruda, come se dice.
Se semo puro dovuti inventacce certe parole che ciann’a che ffà proprio direttamente cor tempo: “vado de prescia”, “chi cià tempo nun aspetti tempo”, “ ’gni cosa a suo tempo”, “er tempo sò sòrdi”, “er tempo quanno che Berta filava”, e tante, tante artre, incruse quelle sur tempo che fa.
A un certo punto de la storia der monno e dell’omo, quarcuno se mise llì a studià sto tempo che passava e ripassava, e che mai na vòrta, dico una che fusse una sortanto, se fusse fermato un momento, che sso, pe, armeno, faje ripià fiato a chi nun ce la faceva proprio più, e che defatti, poraccio, je toccava da rimané, appunto, senza fiato…e così sia.
E allora daje a studià, a sprèmese le meningi e a scervellasse pe trovà er modo de fermallo, d’acchiappallo in quarche modo, sto tempo amico e nemico de tutti quanti ar monno, nisuno escruso. Provòrno a méttelo drento a quarche marchingegno pieno de rotelle, speranno de fallo annà più piano, pe’ llo meno. Ma sgamarono ch’er tempo annava e annava, come sempre, come si nun ce l’avessero messo pe gnente drent’ar marchingegno. Pensòrno che magari questo era troppo granne e che er tempo ciaveva tutt’er modo de giracce a la svérta come je pareva a llui, llì drento.
E allora quarchiduno cebbe l’idea de rimpicciolillo, er marchingegno. Macché: punto e a ccapo. Nun c’era proprio verso de daje manco na limatina, ar tempo che annava annava senza tregua, incaponito e testardo, come e peggio der mulo più testardo ar monno. Ma pareva che solo allora er tempo annasse a un modo così come lo vedeva annà la ggente der tempo, quanno invece er tempo de ogni tempo è sempre annato a quel’istesso rìttimo: da quanno che ar monno ‘n c’era gnente si no er sole co la luna.
Ma è servito solo a daje un rìttimo, un sòno, a fallo annà ordinato…Comunque sia, pe llo meno è servito a capì in quale punto preciso der tempo stavamo, e stàmo, in un certo momento de tutto quant’er tempo che ce gira attorno.
Allora incominciòrno a pìallo pe ‘n antro verso. Che armeno se potesse daje na frenata a quer che lascia in faccia: li segnacci, le rughe, spece su quela de le donne, che ‘n sia mai! E così sempre deppiù, sempre deppiù, fino a arivà – ar tempo de oggiggiorno – a ffà la fortuna de chi se inventa e vénne ‘gni sòrta de impiastri pe la pelle der viso de le donne, e de l’ommini, puro! che mica je fa schifo manco a lloro, de daje na carmata ar tempo che je scava la pelle, prima de scavaje …Ma questo lo dimo più dopo….
Ah…Me stavo a scordà de li cerusichi, che tajeno…insiliconeno…aricuceno, dar naso a ll’occhi, a le recchie, a le zinne, e a le chiappe, perfino! p’annisconne er tempo, che sinnò una (o uno, che è uguale), diventerebbe vecchia più prima ancora der tempo giusto, appunto.
Tutto sommato, ar tempo lo devo ringrazzià, che infatti m’ha dato er tempo de capì tante cose in tempo. J’ho scritto sta poesia:
“Chi cià tempo … nun aspetti tempo”
Er tempo ‘n cià più er tempo
de perdese artro tempo.
Mó è tempo de inizzià le cose in tempo,
de falle bbene e de finille in tempo
e no seconno come gira er tempo!
E aivòja a dì che aritornamo ar tempo
de quanno se marciava tutt’er tempo…!
Sò cose che oramai sò fòri tempo,
ch’ er monno s’è cammiato da quer tempo!
La vita dura tanto poco tempo
che – come quanno sòni e vai a tempo –
nun se dovrebbe annà mai fòri tempo.
E ar giorno d’oggi ancora stamo in tempo
per auguraje ar monno un mijor tempo
vivenno tutti in pace tutt’er tempo,
che è quer che l’omo spera in ogni tempo.
E in caso che avanzasse un po’de tempo
e senza stà a ‘spettà che scade er tempo
bisognerebbe dà ‘na mano in tempo
a chi cià fame e ‘n pò aspettà più tempo.
E quann’er tempo è poco e nun c’è tempo,
bisogna sfruttà bbene er poco tempo
e no stà a piagne che nun ce sta tempo.
E tòcca aricordà che in ogni tempo
è valido quer detto che der tempo
ce dice: “Chi cià tempo
nun deve aspettà tempo”.
E arfine pe noi tutti verà er tempo
de véde un certo treno arivà in tempo.
E quanno, un giorno, ariverà quer tempo
speramo che ciavvèrteno pe tempo
così potremo avecce tutt’er tempo
pe’r bijetto pe’r posto giusto, in tempo. E come ar tempo quanno ch’era er tempo
de vàrzere o mazzurche o de artro tempo,
‘ncomincio a batte er tempo
e m’auguro che ognuno ciàbbi er tempo
pe amori e balli…finacché è bèr tempo.
Senza er tempo, chi sòna, avrebbe solo fatto un gran casino…
Eh, sì…er tempo…è tutto! E ognuno lo vorébbe a un modo che pe llui fusse er mèjo der mèjo. Defatti, si n ce fusse er tempo, mó nun ce staressimo manco noantri de adesso, ché er tempo cià ffatto nasce, cresce…e ciaccompagna. Ndove? Ma è chiaro: indove che er tempo nun esiste più come tempo, così, sempricemente, ma esiste come eternità. E è tutta qua la diferenza nfra er tempo de na vòrta, quello de mó, e quello che deve da vIenì….E che viènga, è sicuro come ch’er 25 dicembre è Natale, o come che er 27 der mese piji la pensione…si er tempo te ce fa arivà, appunto. E si ancora esisterà, un domani, co li chiar de luna de sti tempi!
Che ‘nfatti, a la fine, er tempo che ffa? Te se pìa, anzi…te fa pìà…te fa dà er fojo de via…e ammènne, verebbe da dì. Ma “ammènne” nun è azzeccato: defatti “ammènne” dà er senso de ‘n arivo, de ‘n finale, come si er tempo fusse finito…E ‘nvece no! Er tempo continua a camminà sotto forma de…eternità. Ma intanto, pianopiano…ce consuma…
E er più che se pò ffà, qui, pe la chiusura, è mette li puntini…e ffà un sospiro…
Armando Bettozzi